Cominciano ad essere numerosi gli articoli in cui si parla di Employer Branding.
Accade, però, che troppo spesso si confondano i piani e si confonda questa disciplina con altre di pari importanza ma differenti. Troppo spesso si sente parlare di Employer Brand e di talenti.
In questo caso mi preme differenziarla in particolare da due altre discipline.
La prima: l’Employer Branding non è la capacità di attrarre talenti! La capacità di attrarre talenti e non solo è il recruiting.
In tutte le occasioni abbiamo considerato l’Employer Branding come una disciplina a tutti gli effetti riconducibile al marketing per il fatto che con questa attività si gestisce il brand aziendale in riferimento ad un mercato: il mercato del lavoro.
La divisione Risorse Umane, nel momento in cui si rivolge all’esterno dell’azienda, ha infatti a che fare con un vero e proprio “mercato”.
Dovendo attivare azioni in questo contesto sarà utile, però, capirne alcune caratteristiche e meccanismi.
Per comprendere quali sono gli aspetti che compromettono l’immagine aziendale come luogo di lavoro, occorre essere molto oggettivi e realisti.
Una delle funzioni dell’Employer Branding è quella di individuare gli argomenti che comportano difficoltà di comunicazione tra azienda e dipendenti, potenziali dipendenti, aspiranti dipendenti e consumatori per porvi rimedio in maniera coerente e logica.
Affrontiamo oggi un argomento spinoso.
Lo staff che si occupa di Employer Brand in azienda ha l’appuntamento alle 10:30. All’ordine del giorno il tema è: ragionare sulla nuova strategia.
Bene, da dove iniziare?
Ovviamente si deve cominciare dalla ricerca delle informazioni sullo scenario e sulla popolazione oggetto della nuova campagna.
Il Best Employer of Choice è la classifica delle aziende maggiormente gradite come luogo di lavoro dai neolaureati italiani. Ogni anno, 2500 neolaureati (campione rappresentativo per sesso, area geografica e tipologia di studio) si esprimono su molteplici aspetti inerenti il mercato del lavoro, rispondendo anche a domande riguardanti aziende in cui aspirerebbero maggiormente lavorare.
Alcune di queste aziende, per tradizione e impegno, sono da sempre al vertice della graduatoria. Eni ne è il caso tipico.
Una conferma relativamente a quanto da tempo comunichiamo dalle righe di employerbranding.it.
L'Employer Branding è a tutti gli effetti una componente della comunicazione aziendale e il non assegnargli l'importanza che merita compromette la visibilità generale dell'azienda rispetto ai competitor europei e non solo.
Nell'articolo che segue viene presentato un interessante riequilibrio dei rapporti che intercorrono tra lavoratore e datore di lavoro. In un periodo di tensioni come quello che l'Italia sta vivendo, troppo spesso si perde di vista la parte positiva del mondo del lavoro e quegli aspetti che, come da tempo affermiamo, fanno dell'employer branding una disciplina che varca i confini delle risorse umane.
“Il segreto del nostro futuro è fondato sul dinamismo dell’organizzazione commerciale e del suo rendimento economico, sul sistema dei prezzi, sulla modernità dei macchinari e dei metodi, ma soprattutto sulla partecipazione operosa e consapevole di tutti ai fini dell’azienda”.
McDonald’s ha raggiunto il suo obiettivo!
Si parla del nuovo spot televisivo della McDonald’s in cui viene pubblicizzata l’assunzione di tremila nuovi giovani nei prossimi tre anni e le buone condizioni di lavoro con l’utilizzo di testimonial (gli stessi dipendenti) che descrivono insieme ad una voce fuori campo, in modo molto oggettivo, i compiti che si troveranno a svolgere.
Alcuni testi per approfondire i contenuti trattati nel sito.>>
La partita più importante e difficile che ogni giocatore, qualunque sia il suo sport, deve disputare, è quella con se stesso. >>
Cosa accomuna Tim Cook, il Presidente del Consiglio di Amministrazione della Apple, con il Cardinale Prefetto della Congregazione per l'Evangelizzazione dei Popoli (Congregazione della Curia Romana della Chiesa Cattolica), e con il responsabile del McDonald vicino a casa vostra? >>