Employer Branding: la storia

TEORIE CLASSICHE

 

Padre di tali teorie è Frederick Winslow Taylor (1856 –1915), il quale apporta il suo fondamentale contributo attraverso la monografia “L'organizzazione scientifica del lavoro” (1911). Egli propone un nuovo sistema di gestione e di direzione che può essere sinteticamente definito come un sistema di organizzazione basato sull’attribuzione di compiti ben prefissati e ben definiti al fine di ottenere un tipo di lavoro standardizzato e uniforme. Questo sistema di organizzazione permette di ottenere una resa prevedibile e un rendimento doppio o triplo rispetto al passato perseguendo la gratificazione del lavoratore solamente attraverso una migliore retribuzione salariale. L’anima della nuova organizzazione, di tipo funzionale, risiede in una netta separazione fra manodopera e amministrazione. Alla prima viene sottratto qualsiasi tipo di attività intellettuale per affidarle soltanto mansioni strettamente esecutive, mentre  alla seconda spetta di occuparsi esclusivamente della programmazione del lavoro.

L'altro padre fondatore delle teorie classiche è Max Weber (1864-1920), il quale indica la burocrazia come cardine della società e dell’impresa (l’apparato amministrativo, con la figura centrale del funzionario, aveva il compito di gestirle entrambe). Weber, seguendo la scia della razionalizzazione proposta da Taylor, al fine di controllare in modo efficace la produttività di un grande numero di individui, di assicurare una buona competenza dei lavoratori, di ridurre le possibilità di corruzione e nepotismi, sostiene che la burocrazia debba fondarsi sulla divisione del lavoro tra i partecipanti, sulla gerarchia di uffici, sulla separazione fra diritti dell'ufficio e quelli personali e sulla selezione del personale in base a qualificazioni tecniche. Introduce inoltre, nella disciplina dell’organizzazione aziendale, il concetto delle progressioni di carriera per anzianità di servizio.

 

TEORIE MOTIVAZIONALI
 

L’anello di congiunzione fra le teorie classiche e i successivi filoni di pensiero è rappresentato da Chester J. Barnard (1886-1961), il quale colloca alla base del suo pensiero la cooperazione fra individui, i quali, spinti da motivazioni differenti, mirano e raggiungono uno scopo comune. Per stimolare il lavoratore l’azienda deve  mirare a tale collaborazione fornendo incentivi non solo fisici ma anche e soprattutto  non materiali (di gratificazione, sicurezza, comunione, etc…).

Una svolta alla direzione delle teorie classiche è data dal sociologo Elton Mayo (1880-1949). Mayo pone per la prima volta al centro della riflessione la natura sociale dell’uomo. Attraverso una serie di indagini sul campo (studi sulla produttività nella Wester Electric Company presso gli Stabilimenti Hawthorne), egli evince come la motivazione dei lavoratori non si basi soltanto sulla retribuzione, come sostenuto da Taylor, ma in gran parte come sia influenzata da  strutture e situazioni sociali e da atteggiamenti condivisi (obiettivi raggiungibili, confronto con gli altri, etc…). E’ dunque fondamentale per Mayo che l’organizzazione tenda all’integrazione fra l’elemento produttivo dell’azienda e quello sociale e umano dei dipendenti, così da eleggere il lavoratore a protagonista del proprio ambiente lavorativo e il lavoro stesso a motivo di all’autorealizzazione: negli anni ’30 fonda e guida il movimento delle Human Relations.

Da qui si apre una nuova fase della riflessione: quella delle teorie motivazionali, che a partire da quegli anni  apporta una notevole svolta alla concezione dell’organizzazione aziendale, guardando alla relazione fra impresa e individuo in termini di problema di integrazione, di contratto psicologico, di equilibrio tra contributi e incentivi, di bisogno, di motivazione e di clima organizzativo. Il centro degli interessi diviene, quindi, l’individuo e la sua personalità.

Figura principale, fra coloro che trattano il tema della motivazione e del lavoro, è certamente lo psicologo americano Abraham Maslow (1908-1979), il quale concepisce la personalità di un individuo non come semplice dinamica stimolo-risposta ma come un insieme complesso di specifici bisogni. Nella sua celebre piramide egli pone i bisogni dell’uomo secondo un ordine gerarchico, che parte da quelli primari fisiologici e di sicurezza (alla base), per passare progressivamente a quelli superiori di appartenenza, stima e autorealizzazione (al vertice). Per Maslow man mano che l’individuo riesce a soddisfare un bisogno è spinto ad appagare quello successivo; le aziende dovrebbero riorganizzare le mansioni se non tutta la struttura organizzativa in coerenza con le motivazioni e le finalità personali da lui teorizzate. Proprio a tale discorso è legata la maggior critica mossa a Maslow: il perseguimento della soddisfazione da parte dei dipendenti potrebbe essere incompatibile con gli obiettivi aziendali.

Complementare a tale speculazione è la teoria “motivazione-igiene” elaborata da Frederick Herzberg (1923-2000). Herzberg individua due grandi categorie di fattori: quelli motivazionali, che riguardano il contenuto interno al lavoro e sono rappresentati dalla riuscita della prestazione, dal riconoscimento, dalla responsabilità e dalla crescita delle qualifiche del lavoratore; e quelli igienici, che riguardano, invece, gli attributi esterni (le condizioni di lavoro, il salario, la supervisione tecnica e la politica aziendale). Per l’autore i fattori cosiddetti igienici sono necessari per evitare l’insoddisfazione, mentre per raggiungere un certo grado di soddisfazione vera e propria l’azienda deve agire sui fattori per l'appunto motivazionali.

Secondo Maslow ed Herzberg, dunque, la reale motivazione al lavoro scaturisce dall’appagamento dei bisogni superiori dell’individuo.

A distaccarsi da tale posizione fu David McClelland (1917-1998), secondo il quale i bisogni sono percepiti in modo diverso da ciascun soggetto, per cui non è possibile posizionarli su una scala gerarchica. Infatti, McClelland concentra la sua attenzione sulla motivazione al successo degli individui i quali concentrano la loro forza  nel fissare obiettivi stimolanti ma raggiungibili in base alla proprie capacità.

Anche Douglas McGregor (1906-1964) propone una differente percezione dei bisogni e delle motivazioni con le sue “Teoria X” e “Teoria Y”.

Secondo la Teoria X  l’uomo medio ha un’evidente ripugnanza per il lavoro, evita le responsabilità, ha ambizioni relativamente scarse e desidera sopra ogni cosa la sicurezza. Dunque, la maggior parte dei lavoratori, allo scopo di realizzare uno sforzo adeguato per il conseguimento degli obiettivi dell’organizzazione, deve essere costretta, controllata, comandata e minacciata di punizioni. L’unico incentivo al lavoro è di natura economica.

Secondo la cosiddetta Teoria Y, invece, per l’individuo il dispendio di sforzi fisici e mentali durante il lavoro è una condizione naturale quanto lo svago e il riposo, da ciò ne consegue che egli può esercitare l’autodisciplina e l’autocontrollo in funzione degli obiettivi in cui è coinvolto, assumendosi responsabilità e applicando inventiva e capacità di problem solving. In tal caso il ruolo del manager è quello di creare un equilibrio fra obiettivi individuali e obiettivi aziendali stimolando le potenzialità del sottoposto. Grazie alla soddisfazione dell’io al livello più elevato e al raggiungimento dell’autorealizzazione, quindi, anche l’impresa stessa ne trarrà vantaggio avendo all’interno personale altamente motivato e spinto ad agire per il bene proprio e dell’organizzazione.

McGregor mette a punto una vera e propria strategia fissata su 4 fasi ben precise: il chiarimento dei più ampi requisiti della mansione, la determinazione di obiettivi particolari per ridotti periodi di tempo, il processo di direzione durante tali periodi e la valutazione dei risultati.

Con il progredire delle riflessioni i teorici pongono sempre più l’accento sull’individuo e sulla sua personalità.

Chris Argyris (1923-2003), ad esempio, basa la sua teoria sulla crescita psicologica dell’uomo facendolo progredire da uno stato di immaturità infantile a uno stato di maturità tipica della fase adulta. Ciò attraverso una serie di step intermedi, passando dalla passività all’attività, dalla dipendenza all’indipendenza, dalle prospettive a breve termine alle prospettive a lungo termine, da una scarsa consapevolezza di sé all’autocoscienza. Un’organizzazione per raggiungere il proprio fine, afferma Argyris, deva tener conto delle esigenze dei singoli dipendenti e della loro necessità di crescita, impegnandosi a superare il contrasto che spesso si riscontra fra obiettivi aziendali e bisogni dell’individuo. Questo può avvenire grazie allo sviluppo di spazi interni autogestiti, in cui l’autorità è legittimata dai dipendenti stessi.

Ulteriore approfondimento è dato da Victor H. Vroom (1932) secondo il quale la motivazione è la risultante di due nuove variabili: la valenza, ossia il peso che ogni singolo individuo assegna agli obiettivi che si vogliono raggiungere, e l’aspettativa, ovvero la probabilità che percepisce ogni individuo del verificarsi o meno del risultato atteso. Il prodotto fra le queste due variabili costituisce la motivazione dell’uomo. La soddisfazione del lavoratore è, quindi, fortemente legata al raggiungimento degli obiettivi per cui si è motivati ad agire e dipende non soltanto da variabili esterne, quali quelle organizzative e del contesto di lavoro, ma soprattutto dal valore che quel lavoratore assegnerà al risultato e alle aspettative che riporrà in esso. Perché un’organizzazione funzioni bene, quindi, occorrerà cercare di accrescere la valenza positiva che il dipendente dà ad un certo risultato creando delle condizioni che rendano il raggiungimento di tale esito desiderabile. Inoltre, sarà necessario agire parallelamente sull’aspettativa assicurando al lavoratore una buona possibilità di ottenere lo scopo prefissato.

Queste alcune delle molteplici teorie che insieme ad altre correnti di pensiero hanno contribuito alla formazione e diffusione dell’Employer Branding, attività destinata a diventare fondamentale all’interno delle organizzazione aziendali.

 

Ivan Lamanna