Comunicare lo stage extracurricolare in ottica Employer Branding

Per comprendere quali sono gli aspetti che compromettono l’immagine aziendale come luogo di lavoro, occorre essere molto oggettivi e realisti.
Una delle funzioni dell’Employer Branding è quella di individuare gli argomenti che comportano difficoltà di comunicazione tra azienda e dipendenti, potenziali dipendenti, aspiranti dipendenti e consumatori per porvi rimedio in maniera coerente e logica.
Affrontiamo oggi un argomento spinoso.
Per la quasi totalità delle nuove assunzioni di giovani lo stage extracurricolare è divenuto il primo periodo di rapporto tra potenziale dipendente e azienda. È il primo passo nel percorso di inserimento lavorativo.
In passato esisteva solo il periodo di prova che, però, è un momento diverso condiviso tra azienda e dipendente. Il dipendente viene provato per avere una conferma dopo essere stato assunto.
Lo stage, invece, dovrebbe formare il potenziale dipendente e non provarlo. Poi, se la formazione avrà esito positivo e il candidato si dimostrerà adeguato allora potrà iniziare il rapporto lavorativo.
Il giovane, quindi, viene formato (al di fuori del percorso di studi terminato) e non provato. Ma l’assunzione avverrà solo se il candidato si dimostrerà adeguato alle esigenze aziendali. Quindi, verrà data una valutazione sulle capacità, competenze e conoscenze del giovane. La “prova”, invero, esiste ma non emerge nella comunicazione e, invece che per un periodo limitato all’interno del contratto, avverrà al di fuori del contratto di lavoro per un massimo di circa 6 mesi con un riconoscimento economico molto inferiore alla normale retribuzione e con nessuna copertura contributiva.
Inoltre, la formazione che motiva lo stage non ha valore universale ma è valida solamente per l’azienda in cui si effettua lo stage. Infatti, quale azienda assume direttamente un giovane che ha frequentato uno stage in un’azienda competitor o di altro settore senza esserne stato confermato?
Soffermiamoci, poi, sui processi cognitivi e pensiamo cosa comunica il curriculum di un ragazzo che ha seguito due stage e in entrambe non è stato confermato. Comunica forte preparazione e formazione oppure parziale inadeguatezza? Tra due giovani con medesima laurea e medesimo voto si preferirà quello di un anno più giovane oppure quello di un anno più anziano ma con due stage seguiti che non lo hanno confermato?
A questo punto è più facile comprendere per quale ragione più del 30% dei giovani neolaureati (dati RGS 2017) considera lo stage una perdita di tempo e un modo per sfruttare forza lavoro a basso costo.
Chiaramente questa percezione si riversa negativamente anche sull’azienda che lo propone.
Andiamo ora a considerare l’argomento sotto il profilo dell’Employer Branding per fare in modo che la comunicazione e la considerazione dello stage siano un vantaggio per l’azienda e non un punto critico.
Quando si attiva una strategia di Employer Branding è indispensabile comprendere quale pubblico sarà il bersaglio delle azioni, in che modo pensa, cosa sogna e cosa non è disposto ad accettare.
Occorre effettuare un gioco di ruolo mappando empaticamente il destinatario del messaggio e dell’intervento.
Per cui, riprendiamo il discorso sugli stage. Analizziamo il messaggio e cerchiamo di comprendere quali sono gli aspetti di senso profondo sui quali si forma questa comunicazione.
Il senso profondo che spinge le aziende a offrire percorsi di stage è, ovviamente, la ricerca di candidati da selezionare. Attrarre i migliori candidati per poterli inserire prima in uno stage e poi in azienda. Nessuna azienda è interessata a formare i giovani con l’unica finalità del miglioramento della preparazione delle persone. Inoltre, se l’azienda non avesse un fine occupazionale e ovviamente neanche una vocazione formativa, darebbe ragione a quel 30% che intravede nello stage una forma di sfruttamento del lavoro.
Il senso profondo che spinge i giovani a partecipare agli stage è quello di poter essere assunti. Nessun giovane neolaureato considera la formula “stage” esclusivamente sotto il profilo formativo. Tutti la considerano mirata principalmente all’inserimento lavorativo.
Ecco quindi che il senso profondo dello stage è l’assunzione e non la formazione.
A questo punto, valutiamo quali sono gli attori principali che partecipano alla comunicazione del messaggio inviato dalle aziende sull’offerta di stage e come si comportano.
I primi sono le aziende (il mittente). Queste offrono periodi di formazione lavorativa. Le aziende non prendono tutti i candidati ma ne selezionano alcuni che reputano idonei al loro percorso di formazione. Mettono a disposizione dei tutor che dovranno formare i candidati reputati idonei. Formano i candidati in base alle proprie esigenze ma senza seguire un programma comune con le altre aziende o un metodo formativo condiviso.
I secondi sono i giovani spesso neolaureati (il destinatario). Questi si candidano per seguire una selezione che li porterà, se considerati idonei, ad entrare nel percorso formativo dello stage così da tentare l‘inserimento in azienda.
Questo secondo attore deve essere considerato per quello che è soprattutto se si intende assumerne i migliori. È un attore composto da giovani preparati e intelligenti che formeranno la futura classe dirigente di questo Paese e delle aziende che vi operano. Il messaggio delle aziende dovrà, quindi, apparire accattivante e convincente ai loro occhi e non a quelli di altri.
Perciò, se non si gestirà la comunicazione in modo adeguato e soprattutto coerente si rischierà di offenderli e soprattutto allontanarli. Una disattenzione di questa natura inciderà negativamente sul raggiungimento dell’obiettivo. I più preparati e capaci si allontaneranno e cercheranno formule diverse, eventualmente, anche all’estero.
Quindi, persistere nell’affermare che lo stage è un periodo indispensabile di formazione e che l’azienda lo offre quasi in modo filantropico è, ovviamente, un errore che si ripercuote sulla percezione dell’immagine aziendale nel suo complesso. Lo stage non è un’opportunità per il giovane ma un passaggio obbligato per immettersi in questo mercato del lavoro.
Per cui, cosa dovrebbe fare l’azienda per non rischiare di allontanare quel 30%?
Per essere coerente con il senso profondo del discorso dovrebbe garantire una probabilità più elevata di assunzione grazie allo stage promosso.
Occorrerebbe poter dimostrare che la percentuale di assunzioni (direttamente in azienda o in altre aziende in un determinato lasso di tempo) aumenta dopo aver seguito lo stage.
Questo è possibile facendo un follow up a 3 anni dei percorsi di tutti coloro che hanno seguito lo stage. Nel caso in cui la percentuale di assunti fosse significativamente superiore alla media nazionale dello stesso segmento demografico (compreso quello universitario), si potrebbe dire che i ragazzi che partecipano al percorso formativo sono per un insieme di variabili più probabilmente occupabili dei loro colleghi.
Le variabili intervenienti sono molte ma è possibile effettuare uno studio ad hoc per valutare il peso del contributo dato dallo stage e dalla selezione aziendale al successo raggiunto. In questo modo chi sarà selezionato saprà a priori di avere maggiori possibilità di trovare lavoro rispetto ai suoi colleghi.
Un’altra via potrebbe essere quella di certificare il percorso per garantire con lo stage un titolo riconosciuto dal mercato e, quindi, un valore spendibile anche al di fuori dell’azienda in cui lo si è condotto.
Per fare ciò occorrerebbe standardizzare le procedure formative e sottoporle ad una supervisione metodologica garantita. Infatti, non basta essere un dipendente, anche di lungo corso, per poter insegnare a lavorare. Come per tutte le altre forme di insegnamento occorre poter dimostrare la propria competenza e il metodo utilizzato, dato che si sta parlando quasi sempre di formazione post universitaria.
Chiaramente se si seguisse questo iter sarebbe possibile oltre che comunicare l’aspetto occupazionale anche riconsiderare l’aspetto formativo. Lo stage potrebbe diventare un’alternativa ai master post universitari certificati Asfor e darebbe la possibilità ai più capaci di specializzarsi senza aggravio economico bensì con un rimborso spese.
Ad ogni modo occorrerà presentare lo stage come un’opportunità soprattutto occupazionale che garantisce l’entrata nel mondo del lavoro piuttosto che una ulteriore formazione che mantiene nel limbo i candidati.
È necessario rendersi conto che i giovani farebbero volentieri a meno di seguire uno stage per entrare nel mercato del lavoro. Nel momento in cui si presenterà questa necessità occorrerà da parte dell’azienda motivarla come opportunità. Ma l’opportunità dovrà essere lavorativa e non formativa! Solo in questo modo anche l’azienda ne guadagnerà in Employer Brand.